All’inizio del mondo, Dio creò ogni cosa: la terra, le stelle, le montagne e l’uomo.
Di paese in paese cominciò a creare i vari popoli, fino ad arrivare in Italia.
Creò i milanesi, i genovesi, i napoletani ecc. quando arrivò in Toscana giunse anche l’ora degli aretini.
Dio lavorava senza tregua e, anche se la stanchezza si faceva sentire, cercava di fare attenzione a non tralasciare nessuno particolare. L’aretino era quasi fatto e il Signore dava ritocchi in qua e là per completare al meglio la Sua creazione. Purtroppo, proprio per colpa della stanchezza, si era scordato di fare gli orifizi del naso e della bocca e l’aretino non respirava.
Disperato l’uomo mugolava e gonfiando sempre più diventava rosso dimenandosi.
Continuando a finire gli ultimi tocchi, Dio lo teneva fermo in quel supplizio, continuando a non rendersi conto del male che affliggeva l’aretino.
Alla fine Dio s’accorse e lestamente, con uno schiocco di dita, aprì le cavità respiratorie.
A quel punto, l’aretino senza far in tempo a respirare proferì infuriato verso il Creatore:
“Io k…, me vulivi fère schjantère?”
(Io c…, mi volevi far schiantare?)
Fu questo il primo saluto e il ringraziamento che fece l’aretino a Dio, colui che l’aveva plasmato.
Questa è una leggenda di fondazione che vuol sottolineare la caratteristica ruvidità degli aretini, della quale essi stessi si compiacciono. “La presenza della bestemmia, se vogliamo, non è da considerarsi ingiuria sacrilega ma più un ornamento del linguaggio corrente. (Carlo Lapucci)”