Quanti di voi non conoscono Pinocchio? Il burattino più celebre del Mondo? Nessuno!!!
Ma quanti di voi conoscono suo Babbo? No Papà Geppetto, ma quello vero, oscurato dalla fama di quel pezzo di legno vivo e parlante. Il babbo di Pinocchio si chiamava Carlo Lorenzini (nell’incisione seguente), ma da tutti conosciuto come Carlo Collodi (cognome che egli volle assumere in onore della madre, originaria appunto di questo borgo, in Provincia di Pistoia).
Carlo Collodi era un fiorentino puro sangue, nacque in una modestissima casa di Via Taddea, precisamente al numero civico 21 e sulla porta, attualmente, vi è una targa in marmo che dice: “In questa casa nacque nel 1826 Carlo Lorenzini detto il Collodi, Padre di Pinocchio”.
Lorenzini ha passato la propria infanzia e giovinezza a stretto contatto col ceto meno abbiente della Firenze granducale, era un ragazzo sveglio e intelligente, sempre pronto al botta e risposta, caratteristiche che si riscontrano infatti nelle proprie opere giornalistiche, dove arguzia e tagliente asprezza, sulle polemiche politiche e culturali, non mancano.
Negli anni Cinquanta, nel suo ruolo appunto di giornalista, descriveva la realtà toscana, fatta di intrighi e storielle da caffè, cogliendone i lati spiritosi e bizzarri, attraverso fulminanti invenzioni linguistiche.
Abbracciando le idee mazziniane, partecipò alle rivolte risorgimentali del 1848-49. Sulle pagine del “Lampione”, da lui fondato nel 1848, e dello “Scaramuccia”, un foglio sorto nel 1853, Collodi si sbizzarriva in polemiche contro tutti e tutto, passava dalla politica al teatro senza alcuna differenza.
Si può ben dire che “Non aveva peli sulla lingua”.
Fra il 1860 e il 1881 fece parte della commissione di censura teatrale e poi divenne impiegato della Prefettura, ma non abbandonò mai il giornalismo.
Si può però affermare che la sua vera strada la trovò quando, già avanti con gli anni, decise di dedicarsi alla letteratura per l’infanzia. Come fu che il Collodi divenne scrittore per i ragazzi non si sa con precisione, forse affievolita la sua attività giornalistica con la realizzazione dell’Unità d’Italia, egli pensò di dedicarsi ai ragazzi con intento di carattere prettamente educativo.
Come funzionario al servizio dello stato unitario appena formato, iniziò con la traduzione dei racconti delle fate di Perrault, per poi lavorare a vari libri pedagogici per la scuola.
Le sue doti di giornalista, il suo amaro umorismo e la fresca inventiva gli diedero modo di realizzare “Il viaggio per l’Italia di Giannettino” nel 1876, “Minuzzolo” nel 1878, “Macchiette” nel 1880, “Occhi e nasi” nel 1881 e finalmente il suo capolavoro: “Pinocchio”.
La prima apparizione della storia del celebre burattino si ebbe nel 1881 sul “Giornale per bambini”, originariamente le avventure di Pinocchio si concludevano nell’episodio dell’impiccagione, con la morte del protagonista, ma le proteste dei piccoli lettori indussero l’autore a proseguire il racconto, e a trovare una fine profondamente diversa, come poi fu. Nel 1883, l’editore fiorentino Paggi pubblicò l’opera del Collodi col titolo definitivo: “Le avventure di Pinocchio”.
Si può concludere dicendo che il Collodi è riuscito a fare del suo personaggio un vivo modello di quella che è l’essenza dell’anima infantile, con le sue bizze, i suoi difetti, le sue generosità e la sua innocenza. Pinocchio è fondamentalmente libero di fare tutto quello che vuole, seguendo semplicemente gli impulsi della sua natura, e l’intento educativo, si manifesta proprio nelle cattive e buone esperienze che il protagonista provoca con le proprie azioni.
Indubbiamente un successo editoriale, un classico che oltrepassa i confini della mera letteratura per l’infanzia. L’opera è stata pubblicata in oltre 200 edizioni e tradotta in 260 lingue o dialetti; basti pensare che alla morte del Collodi avvenuta nel 1890, si era già alla quinta edizione.