Il castello di Lagopesole sorge in cima ad un colle della Valle Vitalba, nell’odierna provincia di Potenza. Di origini normanne, venne acquistato da Federico Barbarossa nel corso del 1100, utilizzandolo come residenza di caccia. Nel torrione della fortezza vi è un ingresso, posto a quattro metri d’altezza, ornato in basso da due mensole, con scolpito delle teste umane.
In una vi è il volto della moglie Beatrice, nell’altra viene raffigurato lo stesso Imperatore, provvisto di corona, lunghi capelli e orecchie d’asino. Simbolicamente questa rappresentazione animalesca sta a rappresentare il potere di ascolto del sovrano verso tutti, ma una leggenda le interpreta in maniera diversa. La tradizione popolare racconta di una malattia congenita che affliggeva l’Imperatore fin dalla nascita ma che nella vecchiaia peggiorò, e per nascondere il difetto, il sovrano fu costretto a trasferirsi nella roccga di Lagopesole; per lo stesso motivo portava i capelli sempre lunghi.
Per impedire in qualsiasi modo il diffondersi della notizia, qui l’Imperatore aveva ordinato che i barbieri da cui si faceva radere, nel momento in cui avessero finito il servizio lasciando la dimora imperiale, venissero condotti tramite un corridoio, in una torre dove era nascosta una trappola, nella quale i malcapitati venivano spinti,senza poterne più uscire, nonostante avessero giurato di mantenere il segreto.
Un giorno un giovane barbiere riuscì a sfuggire al trabocchetto; Federico rimase talmente colpito dalla bravura del ragazzo che decise di rendergli salva la vita, a condizione che non rivelasse niente su quanto visto. Il barbiere impaurito, fece come ordinato, finchè un giorno, non potendo più portare il peso gravoso di quella scoperta, non volendo però mancare alla promessa fatta, si allontanò il più possibile da Lagopesole, raggiungendo un luogo isolato nelle campagne, scavò una buca, e vi gridò dentro: “Federico Barbarossa ha le orecchie d’asino!”, tornando a casa sollevato dallo sgravio di quell’onere.
Dopo qualche tempo sul posto crebbero delle canne, che frusciando mosse dal vento, sembravano ripetere come un ritornello le parole rivelatrici di quel segreto. La cantilena è giunta fino ai giorni nostri, ripresa dai canti popolari della zona, mentre della fine che fece il barbiere, nessuno ne sa niente.