Quale simbolo poteva avere una città di nome Prato, se non dei fiori? In particolare lo stemma araldico di Prato raffigura un campo vermiglio disseminato di fiordalisi aurei, mentre il rastrello, indicante le mura cittadine venne aggiunto dopo. Se ne riscontrano testimonianze fin dal 1267.
Il fiordaliso o giglio, rappresentava nel Medioevo la parte guelfa – legata al papato – e gli Angioini Re di Napoli di origini francesi, avendolo anch’essi nel loro stemma nobiliare, ne erano i maggiori sostenitori. I ghibellini invece si appropriarono dell’aquila. Narra Dante:
L’uno al pubblico segno i gigli gialli
oppone, e l’altro appropria quello a parte,
sì ch’è forte a veder chi più si falli.
(Divina Commedia, Canto VI del Paradiso)
Prato nel XII secolo si trovò molto spesso alleata di Firenze e del Papa romano, contro la più aggressiva Pistoia e contro le pretese conquistatrici dell’Imperatore Federico I. Il famoso Castello di Prato, eretto da suo figlio e successore Enrico VI nel periodo in cui soggiornò tra il 1186 e il 1189, non bastò a far imporre la propria egemonia ghibellina. L’essere una città guelfa potrebbe essere una prima motivazione ai fiordalisi pratesi.
Un altro evento che rafforzò l’assunzione del fiordaliso come proprio stemma accadde nel 1313. Prato per non cadere sotto l’egemonia fiorentina, dovette prendere una sofferta decisione, mettendosi sotto l’ala protettrice di Roberto d’Angiò Re di Napoli, e rimanendovi poi per sedici anni. Che la decisone non fu facile lo dimostra il fatto che la proposta in Consiglio generale venne bocciata la prima volta e ci volle oltre un mese per arrivare all’accordo.
Alcuni anni prima, il 25 settembre 1310, era sostato a Prato, proveniente da Avignone, proprio Roberto d’Angiò. Gli venne preparata una grande e dispendiosa festa, e gli vennero regalati sei cavalli, un bacile d’oro massiccio pieno di monete auree, stoffe pregiate e una cesta enorme di confetti. Per questo motivo ancora oggi sulla facciata di Palazzo Pretorio vi è una nicchia, appositamente ricavata, dove in passato vi era una imponente statua in marmo di Re Roberto.
Nel periodo di sottomissione alla corte angioina si coniò in Prato anche una moneta d’oro: il gigliato.
La mossa politica di Prato fece sì che la propria indipendenza fosse allungata nel tempo di qualche anno, ma non scongiurata. Infatti nel 1351 Firenze la comprò dalla regina Giovanna I all’irrisoria somma di 17.500 fiorini, possedendone i diritti del dominio del mero e misto imperio e la giurisdizione piena, in pratica la piena sovranità su tutta la terra e la circostante area rurale.
Le vicende politiche legate ai guelfi prima e a Roberto d’Angiò Re Napoli poi, accomunati entrambi dal fiordaliso, lasciarono a Prato in eredità questo fiore come proprio simbolo… forse non a caso nella città la cui protettrice è la Sacra Vergine Maria e dove si custodisce la sua Cintura; perché il giglio è da sempre considerato uno tra i simboli mariani per eccellenza.
Sicuramente non sarebbe stato contento l’Imperatore: questo luogo dove costruì uno dei suoi castelli, avrebbe poco più tardi vantato a propria effige quella dei suoi avversari!